Intervista a Sacchi che parla di Sarri alla Juve e approva la scelta tecnica di Agnelli

Sacchi non ha mai nascosto la sua grande ammirazione per Sarri ed ora che il toscano approda alla Juve ci racconta cosa pensa della svolta tecnico tattica in casa bianconera

Vide giocare il suo Empoli in B e rimase incantato. Perciò lo suggerì al Milan, ma invano. Del neo allenatore bianconero l’ex c.t. apprezza moltissimo la filosofia tattica. E di Andrea Agnelli dice: «Prendendolo ha fatto un salto culturale che può andare a vantaggio di tutto il calcio italiano»

C’è una parola che Arrigo Sacchi ripete con frequenza discorrendo di Maurizio Sarri e del suo sbarco alla Juventus: rivoluzione. Considera l’arrivo del tecnico in bianconero un autentico cambio di marcia, prima culturale e poi calcistico, e senza che lo dica mai esplicitamente si capisce che il pensiero va a quando lui, Arrigo da Fusignano, atterrò sul pianeta Milan, trentadue anni fa, e gli cambiò i connotati. Da un rivoluzionario all’altro, insomma.

Sacchi, lei quando ha conosciuto Maurizio Sarri?
«Era la stagione 2013-14, io ero il responsabile delle Nazionali giovanili e andavo in giro a seguire i giocatori. Il problema era che, in Serie A, gli Under 21 non venivano impiegati, così ripiegai sulla Serie B e mi trovai a Empoli.Rimasi sbalordito fin dalla prima partita: mi piaceva il gioco, mi piaceva come si muovevano gli uomini sul campo, si vedeva che c’era tanto lavoro e una precisa filosofia dietro quelle manovre. Così chiamai DiBiagio, Evani e Zoratto, che erano tecnici della Federcalcio, e suggerii loro di seguire gli allenamenti di Sarri e poi di portarmi le relazioni».

E che cosa capì?
«Che in quell’Empoli, cosa della quale mi ero reso conto anche dal vivo, c’era armonia, c’era organizzazione, c’era sinergia tra i vari reparti della squadra.Insomma, Sarri proponeva un calcio piacevole, divertente. E difatti ottenne la promozione senza avere a disposizione dei grandi campioni. Però il gioco che facevano era “da campioni”».

Com’era questo gioco?
«L’Empoli praticava il classico 4-3-1-2, un modulo che avevo adottato anch’io al Milan. Il trequartista era l’ago della bilancia: attraverso movimenti sempre coordinati con quelli dei compagni, a volte andava a fare il centravanti e, a volte, si abbassava al livello degli altri centrocampisti. Saponara era l’uomo deputato a questo ruolo. In A andai spesso a seguire le partite dell’Empoli e m’incantò questo modo spregiudicatodi affrontare l’avversario: senza paura, con coraggio e, soprattutto, con tante conoscenze. Si vedeva che i giocatori, in qualsiasi situazione si trovassero, sapevano che cosa fare e come uscire dalle difficoltà. Questo era chiaramente merito dell’allenatore».

Lei rimase talmente affascinato dal gioco di Sarri da proporre l’allenatore per la panchina del Milan, è vero?
«Verissimo. Ne parlai con Galliani alla fine dell’autunno del 2014. Gli dissi: “Dovete prenderlo assolutamente, questo fa migliorare i giocatori che ha a disposizione e propone un calcio basato sulla bellezza”.Galliani lo bloccò fino alla primavera del 2015, ma poi Berluscon idecise di scegliere una strada diversa e prese Mihajlovic. Io cercai di insistere con il Cavaliere: “Silvio, con Sarri puoi ripetere,trent’anni dopo, quello che hai fatto con me”. Non mi ascoltò».

E Sarri andò al Napoli.
«Com’era bello, il suo Napoli! Armonioso, elegante, coinvolgeva il pubblico, suscitava simpatia. Con lui in panchina Higuain ha segnato 36 gol in campionato: record. E, una volta partito Higuain e infortunatosi Milik, Sarri riuscì a far segnare 28 gol a uno comeMertens che non era certo conosciuto come un grande cannoniere. Significa che il gioco esaltava le qualità dell’individuo».

Ma qual è la caratteristica principale di questo gioco? Cioè: in che cosa è tanto diverso rispetto a quello delle altre squadre?
«È molto semplice. I giocatori di Sarri non li trovi mai fermi. E quando lo sono sbagliano.Il continuo movimento fa sì che gli avversari non abbiano il tempo di poter predisporre la fase difensiva. Per fare ciò, tuttavia, è necessario che vi siano, sul campo, le giuste connessionitra i reparti, quindi le scalate, le coperture preventive e quelle faccende lì. Solo in questo modo si può attuare il pressing offensivo che lui chiede».

L’Empoli giocava con il 4-3-1-2, il Napoli conil4-3-3, e alla Juve come farà?
«Non è una questione di moduli, ma di mentalità. Se hai le ali, giochi con il 4-3-3. Se hai il trequartista intelligente,fai il4-3-1-2. L’importante è che la squadra sia sempre compatta, stretta e, di conseguenza, sinergica. Posso fare un esempio?».

Prego, si accomodi.
«Secondo voi è più semplice fare un lancio di trenta metri o un passaggio di cinque?».

Un passaggio di cinque metri.
«Giusto. Eallora, se non hai giocatori in grado di lanciare il pallone a trenta metri,devi far muovere la squadra, tutta la squadra, con passaggi brevi e avanzamenti simultanei in modo da arrivare vicino all’area di rigore avversaria. Sarri usa questo metodo. L’ha usato con l’Empoli, con il Napoli e con il Chelsea».

E poi, nonostante il suo gioco sia molto offensivo, le sue difese non fanno acqua.
«All’estero la fase di non possesso non la cura nessuno. In Italia la curiamo moltissimo, e Sarri è nato in Italia. Lui sta molto attento a come recuperare il pallone e a come riproporre l’azione da dietro. Pensate a quando sono arrivati Koulibaly e Ghoulam: non erano fenomeni e adesso, invece, si parla di loro come due dei migliori difensori in circolazione. Vi racconto una cosa curiosa: stavo guardando una partita del Napoli contro il Cagliari e sapete chi mi telefona?».

Dica.
«Mi chiama Guardiola. Rispondo e Pep mi fa: “Hai visto, Arrigo, come gioca bene il Napoli? Scambi perfetti, copertura degli spazi, attacco della profondità al momento giusto.Questo Sarri è un professore”. Ringrazio a nome di Sarri, anche se io non c’entro nulla, e li metto in contatto. Adesso i due si sentono spesso».

Quindi, secondo lei, la Juve ha fatto un grande affare?
«Se la scelta è stata dettata dalla moda, non va bene e lo dico chiaro e tondo. Ma se, invece, come credo, è una decision eponderata e valutata, allora si tratta di un ottimo colpo. Sarà determinante la società, soprattutto nel primo periodo, un po’ come accadde a me al Milan».

Si spieghi meglio.
«È evidente che Sarri incontrerà dei problemi perché proporrà cose nuovee non sempre le novità sono ben accette dai giocatori. La società avrà il compito e il dovere di supportare l’allenatore, esattamente come Berlusconi fece con me. Un giorno il Cavaliere entrò nello spogliatoio e, per difendermi, disse ai giocatori: “Lui ci sarà anche l’anno prossimo, voi nonlo so”. Da allora in poi nessuno mise più in dubbio la mia panchina».

Quali sono i problemi che potrebbe incontrare Sarri?
«Lui pretende che tutti partecipino all’azione, alla Juve finora non è statosempre così. Le qualità individuali sono importanti, ma possono diventare anche un limite».

In che senso?
«Più sei bravo e più tendi a essere meno disponibile. Lo sforzo che dovranno fare i giocatori della Juventus sarà di mettersi nelle mani dell’allenatore e credere ciecamente nei suoi metodi,e seguirlo.Comunque Andrea Agnelli è stato bravissimo: ha fatto un’autentica rivoluzione che può essere un vantaggio per tutto il calcio italiano. È un salto culturale non da poco. Se prendi Sarri, significa che t’interessa sì vincere, ma vuoi farlo attraverso il bel gioco, lo spettacolo, l’emozione».

In che cosa ritiene che il gioco di Sarri assomigli a quello del suo Milan?
«La filosofia è la medesima: prima si attacca e poi ci si difende.Conta essere padroni del campo, avere il possesso del pallone e avere il desiderio di stupire e di creare qualcosa che gli avversari non possono fermare. E poi, ad esempio, le sovrapposizioni sulle fasce, anche se in modo leggermente diverso, le facevamo bene anche noi: ricordate le galoppate di Tassotti, Angelo Colombo che si allargava, o addirittura Gullit che andava su quel lato per crossare? Ecco, anche Sarri fa queste cose».

Uno stile di gioco ben preciso, insomma.
«Lui, ai suoi giocatori, regala il possesso del pallone. Cioè li mette nelle condizioni di poter gestire la manovra: mica male, no?».

Quali difficoltà può incontrare alla Juve?
«Lui non è un grande comunicatore. Diciamo che comunica attraverso il gioco. Però, anche se non è un chiacchierone, è una persona perbene, onesta, che ti dice in faccia ciò che pensa. Se Agnelli e tutta la società sono convcredo che la Juve farà divertire tutti per molto tempo».

E continuerà adandare inpanchina con la tuta o si metterà giacca e cravatta?
«Se vince e se diverte, secondo me l’abito è l’ultima cosa che conta».

Certo che un rivoluzionario alla Juve nessuno se lo sarebbe aspettato.
«L’ho detto: un fatto straordinario. Io venni contattato dall’avvocato Agnelli nel 1991. Mi stimava ,mi voleva dopo l’esperienza al Milan, ma io ero cotto come una pera… Non ce la facevo più. Magari sarebbe stata una bella avventura, chi lo sa? Comunque adesso tocca a Sarri e io faccio il tifo perché possa avere successo con le sue idee e con i suoi metodi. Mi auguro che i giocatori lo aiutino. Ricordatevi che nel calcio l’intelligenza e il cervello contano più dei piedi».

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