Guardiola vs Mourinho una rivalita´ senza confini
Sono passati poco più di 10anni. 16settembre 2009,San Siro. Primo turno di Champions League, Inter-Barcellona. L’Inter di Mourinho torna in Europa 6 mesi dopo la sconfitta subita a Old Trafford che aveva segnato la prematura fine della precedente campagna di Champions.
Lo United era arrivato alla finale di Roma dov’era stato schiantato dal Barça di Guardiola che al primo anno di panchina vera dopo la stagione passata col Barça B in quarta serie aveva subito vinto il triplete, cosa che in Spagna non aveva mai fatto nessuno, e si avviava alla conquista addirittura del sextete. Già in bacheca Liga, Champions e Copa del Rey, in agosto erano arrivate anche le Supercoppe, di Spagna e d’Europa.Poi a dicembre si aggiungerà il Mondiale per club. Pep sta iniziando a riscrivere lastoria del calcio, Mou quella dell’Inter. I loro destini non si sono mai incrociati perché José a calci oa certi livelli non ha mai giocato e perché Pep in panchina a certi livelli c’è appena arrivato.
Nei mesi a venire i loro destini s’intrecceranno continuamente. Toccando le viscere di entrambi. Tirando fuori il meglio e il peggio da due caratteri che pur partendo da posizioni opposte finiscono per mostrare molti più punti di contatto di quanto non pensino o non vogliano ammettere i protagonisti. Due grandi allenatori, due mostri della comunicazione, due vincenti a tutti i costi, due lingue velenose, due magnifici teatranti. A unirli ci sono l’odio per la sconfitta e la cattiva digestione della stessa, una dose d’isterismo e un’altra d’istrionismo, eserciti agguerriti pronti a sostenerli sempre e di fronte a tutto, il più alto grado d’intelligenza applicata al calcio,l’uso della dialettica come strumento di gioco, prima, durante e dopo le gare. Entrambi di gennaio, ma di segno diverso: Pep (classe 1971) è del 18 ed è quindi un capricorno, José (1963) del 26: acquario. Hanno pure lo stesso nome, ma anche qui sono separati: lo usano in modo diverso.
Contatto morbido
Quel 16 settembre è serata di grandi ex: Ibra in blaugrana ed Eto’o in nerazzurro. È serata di assedio,del Barça all’Inter. Mourinho: «Il Barcellona,lo ammetto,ha avuto il controllo del gioco.
Ma la mia Inter ha avuto a sua volta il controllo del gioco senza palla,il che costituisce un merito indiscutibile. Non devo certo spiegare a voi italiani cos’è il controllo del gioco senza palla, ne avete fatto un’arte. E voi italiani,che siete maestri di cinismo tattico, adesso criticate l’Inter perché dite che non ha giocato bene.Io invece faccio tanti complimenti ai miei giocatori che si sono battuti e hanno sofferto contro un avversario che gioca a memoria perché ha gente che lavora insieme da anni». Il controllo del gioco senza palla: più Mourinho di così si muore. Tra i due nulla di particolare da segnalare Si annusano, si guardano a distanza,non siamo nemmeno ai preliminari. Il 24 novembre a Barcellona il Barça vince 2-0. Messi non c’è, Ibra resta inpanchina. Una figuraccia, e Mou viene criticato per l’atteggiamento eccessivamente difensivo. A una giornata dalla fine del girone l’Inter è seconda a pari punti col Rubin Kazan, atteso a San Siro in dicembre: Eto’o e Balotelli daranno il pass per gli ottavi. Di nuovo, la temperatura tra Pep e Mou resta sottocontrollo. Nella primavera del 2010 non sarà così.
Prime scintille
Inter e Barcellona si ritrovano, nelle semifinali di Champions. Prima esplode il vulcano islandese Eyjafjallajökull, cosa che costringe il Barça ad arrivare a Milano in pullman.L’Inter vince 3-1 in una serata segnata da evidenti errori dell’arbitro portoghese Benquerença: “Furto all’italiana” e semplicemente “Furto” sono le parole che occupano le prime pagine dei quotidiani sportivi catalani Sport e Mundo Deportivo,che sostengono convinti che l’arbitro sia un amico di Mou. Al ritorno il Barcellona vince 1-0 e l’Inter va in finale al Bernabeu. Ed esplodono tante altre cose. C’è il primo contatto tra Mourinho e Guardiola: quando durante la partita il catalano sta parlando con Ibra a bordo campo Mou si avvicina e gli dice qualcosa all’orecchio. Poi se ne va con un ghigno. Zlatan inesistente, un gol di Bojan che porterebbe il Barça in finale viene annullato senza che al CampNou capiscano perché, al fischio finale Mou corre come un forsennato sul prato del CampNou con i giardinieri che con nulla sportività accendono gli idranti.
Mou, che a Barcellona chiamano con spregio el traductor perché con quella funzione era arrivato al Barça di Bobby Robson. Mou, che dal terrazzo del municipio festeggiando un titolo blaugrana aveva detto «il Barça per sempre nel mio cuore».Mou, che aveva cominciato a rinnegare quel passato nelle battaglie degli anni precedenti tra il suo Chelsea e il Barça di Rijkaard. Mou che diventa il nemico numero uno del popolo blaugrana. E dev eancora andare al Madrid. «Abbiamo il sogno di giocare la finale diChampions, mentre per il Barcellona è un’ossessione. Per loro andare a Madrid a giocare una finale è un’ossessione. Ec’è differenza tra sogno e ossessione, il sogno è più puro. Per loro è anti-madridismo, una cosa che non riesco davvero a capire», aveva detto José alla viglia.
Manita e asse con Florentino
Era il 28 aprile. Sette mesi dopo, il 29 novembre. Mou torna al Camp Nou. Col Madrid. È appena arrivato alla Casa Blanca dopo aver sedotto e abbandonato l’Inter, lasciata con l’unico triplete della storia del nostro calcio. Coppa, campionato e Champions, esattamente come Guardiola l’anno prima. Back to back. Risposta immediata e sancita dall’eliminazione del Barça dei mostri. Il Madrid è in testa, un punto più del Barcellona. È imbattuto, appena 6 gol subiti in 12 giornate. E perde 5-0. Piqué saluta con le 5 dita aperte sottolineando la manita. Mou in carriera non aveva mai incassato più di 3 gol.È una disfatta. Dolorosissima.Per lui da allora nulla sarà come prima. Anche perché la sua sofferenza è amplificata, decuplicata, riflessa da quella di Florentino Perez.
Tra i due nasce un sodalizio estremo, indissolubile, che poggia su una base solidissima e ampia: l’odio eterno per il Barcellona, per il tiki-taka, per il jogo bonito, per Guardiola e ciò che rappresenta. La missione di Mou e Florentino è chiara: annichilire il Barça diPep. Con qualsiasi mezzo. A Natale Mou vince la battaglia interna convincendo Perez a licenziare il fedele Jorge Valdano, estimatore del calcio che piace a Guardiola, tra le altre cose.
I quattro Clasicos
L’apice dello scontro arriva nella primavera successiva, quando il calendario propone addirittura quattro Clasicos in 18 giorni. Uno di Liga, la finale di Copa del Rey,le semifinali di Champions.
In campionato finisce 1-1,il Madrid resta a -8 dal Barça, la Liga è andata, però rispetto al 5-0 di novembre almeno l’onore è salvo. A Valencia la finale di Copa del Rey viene decisa da un gol di Ronaldo nei supplementari, primo dei 3 soli trofei che Mou rimedierà nel triennio madridista. Il Barça accusa il Madrid di aver picchiato approfittando della permissività dell’arbitro, Mourinho attacca Guardiola in maniera frontale. E allora Pep quando viene al Bernabeu per la conferenza di presentazione della semifinale di andata manda in onda in mondovisione il suo show più famoso:quello del putoamo, il «fottut opadrone» del Bernabeu, chiamando José per nome, cercando la “sua” telecamera. Quando torna in albergo i giocatori del Barça sono lì ad aspettare il loro condottiero:cantano il suonome,lo esaltano.
La tensione è altissima, e in campo esplode. Pepe espulso, Mourinho espulso, doppietta di Messi. In conferenza stampa tocca a Mourinho dare spettacolo, con la lista degli arbitri che hanno aiutato il Barcellona: «Mi vergognerei a vincere le Champions così», dice tra le tantissime altre cose. Il ritorno porta solo altri veleni, il Barcellona va in finale, schianta di nuovo lo United e ad agosto deve affrontare ancora il Madrid nella Supercoppa di Spagna.
Quinta e sesta sfida nell’anno solare (ce ne sarà una settima), Coppa al Barcellona con rissa finale al CampNou resa fotograficamente storica dall’immagine di Mou che da dietro mette un dito nell’occhio al compianto Tito Vilanova, al tempo secondo di Guardiola. Nella primavera del 2012 il Madrid vince al Camp
Nou e mette le mani sulla Liga.
Il disgelo
È finita.Se Dio vuole. Pep, logorato da 4 anni di Barcellona e dall’estenuante guerra con Mourinho e il Madrid, lascia. Mou resiste un altro anno.È riuscito
in qualche modo a fermare la corsa della macchina da guerra blaugrana e la parte più dura del madridismo gli renderà onore eterno per questo. I due si giocano una Super coppa Europea nel
2013, il Bayern di Pep batte il Chelsea di José ai rigori. Alla vigilia la prima domanda a Mou è sul fatto che in 15 sfide ha battuto Guardiola solo 3 volte, e il portoghese scatta subito:«Sbagli. Sbagli di grosso»,dice al giornalista. Che invece ha ragione. «E comunque questa non è una sfida tra me e Pep». È l’inizio del disgelo, aiutato anche dall’assenza di ulteriori sfide tra i due per oltre tre anni. La pressione scende, e quando i due si ritrovano insieme a Manchester, uno al City e l’altro allo United, sono cambiati loro, è cambiato tutto.
I sei derby filano via completamente annacquati rispetto al feroce passato. «Senti– dice Pep a un giornalista che nell’aprile del 2018 vuole cercare di ravvivare le braci della sua rivalità con Mou –. Quando sono arrivato a Manchester, ok, lo capivo. Pep al City, José allo United, c’è attesa. Ma ora sono passati due anni e tra noi non è successo nulla di speciale. Ti dirò di più: io non ho mai battuto Mourinho, e lui non ha mai battuto me. Le nostre squadre si sono superate. Non ho mai giocato contro José, lui non ha mai giocato contro di me. A volte le sue squadre hanno battuto le mie, altre volte è successo il contrario. È semplice. E io lo rispetto tanto. Il punto oggi non è più Pep vs José». E Mou, prima di un’amichevole americana nell’estate precedente: «Qui gli unici a essere sorpresi dal fatto che tr ame e Guardiola non c’è alcuna rivalità siete voi giornalisti. Per me non è una sorpresa. Siamo stati insieme a Barcellona per anni. Abbiamo condiviso lo stesso spogliatoio. Insieme abbiamo risoper le vittorie e pianto per le sconfitte. Poi ci siamo ritrovati, lui allenava il Barcellona e io il Madrid in un momento molto particolare: loro erano il club più forte d’Europa e noi un gigante indifficoltà. Ne uscì una lotta tra due società. Quando Pep è arrivato in Inghilterra ero sicuro che qui le cose sarebbero andate diversamente.
Scusate se vi abbiamo deluso».
Questo articolo e´ tratto dal magazine SportWeek del 1 febbraio 2020. Puoi scaricare l´intera rivista in pdf nella sezione download