C´era una volta il libero

Un difensore dietro gli altri e´una figura nata in Italia. Brera gli attribuisce il nome. Viani e Rocco lo impongono. A Mexico 70 stupisce il cagliaritano ex mediano. Poi Scirea e Baresi fino a Bergomi fanno entrare questo ruolo nella storia.

Anche gli allenatori delle squadre di Terza Categoria sembrano oggi vergognarsi di ricorrere al libero. Difficile trovarne uno che dica chiaramente a un proprio difensore di staccarsi indietro di qualche metro rispetto ai compagni di reparto. Sì, ogni tanto il libero riappare mascherato perfino in certe squadre di serie A, quelle che giocano con la difesa a tre, ma al centrale di difesa non viene comunque richiesto di stare dietro a tutti, perché il diktat dei mister odierni è invece quello di accorciare la squadra. Eppure storicamente il ruolo è stato imposto dagli italiani e a dare un nome alla novità tattica è stato Gianni Brera, il più grande di tutti anche a creare neologismi. Un episodio antecedente c’era stato in Svizzera con Karl Rappan e il suo Verrou. Qualcuno assicurava di aver visto nei campionati di guerra Ottavio Barbieri impiegare un uomo staccato dalla difesa nella squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia.

Ma fu Gipo Viani il primo a utilizzare in maniera continuativa il libero ad alti livelli. Allenava una Salernitana appena promossa nella massima serie, quando nel 1947 per affrontare squadroni come il Grande Torino pensò ad un accorgimento tattico. Gipo disse al suo attaccante Alberto Piccinini, padre del telecronista Sandro, di arretrare per marcare il nove avversario, e al suo difensore Ivo Buzzegoli di arretrare di qualche metro, senza controllare direttamente nessuno per andare invece in soccorso qualora un suo compagno fosse stato in difficoltà. Era uno schema modificato dal Sistema: in attacco giocavano quattro attaccanti e il centravanti tappabuchi, che dietro dava sempre la superiorità numerica. Fu Gianni Brera, non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta, a trovare la definizione perfetta. Libero venne chiamata questa nuova figura associata quasi sempre alla maglia numero sei (meno spesso al quattro). Nel 1949 la Juve fu sconfitta dal Milan 7-1 e il giornalista si chiese se certe amnesie difensive del WM potessero essere risolte con l’utilizzo di un giocatore libero appunto da incombenze di marcatura.

Negli anni Viani, era il suo carattere, polemizzerà attraverso la stampa sulla progenitura del ruolo. Prima con un suo ex calciatore di Salerno, un eroe locale che in un torneo estivo aveva fatto anche l’allenatore. Antonio Valese sosteneva infatti di aver tentato lui per primo l’esperimento che poi Viani avrebbe copiato. Anche con l’amico-nemico Rocco si contese la paternità dell’invenzione. Quando Viani andò ad allenare il Milan e col Paron più tardi fece coppia sulla panchina della Nazionale olimpica, il catenaccio ed il libero arrivarono nei piani più nobili della tattica calcistica.

A un certo punto in Italia nessuno poté fare a meno di questo ruolo. Helenio Herrera arrivò dalla Spagna abituato a giocare un calcio diverso. Nonostante i rapporti non fossero sempre semplici, HH diede la fascia di capitano ad Armando Picchi e trasformò il terzino in libero. Contro il Real in un’amichevole notturna a Casablanca, Herrera provò per la prima volta Picchi da sei: “Armando, è il tuo ruolo ideale, se sbaglio mi prendo a schiaffi da solo”. E l’Inter iniziò a vincere tutto. Picchi diventerà il punto di riferimento dei colleghi di ruolo. Senso della posizione eccezionale e concretezza le sue qualità principali. Era uno che non andava troppo per il sottile, pensava a interrompere soprattutto l’iniziativa avversaria.
Dall’Italia il libero è stato esportato con alterne fortune anche all’estero. Juan Carlos Lorenzo, argentino con parte della carriera da calciatore e allenatore in Italia, era il ct della Seleccion argentina nel 1966. Per il Mondiale in Inghilterra aveva provato a giocare con il libero, addirittura facendo allenare il suo 6 con una maglia di un colore diverso dagli altri. Rattin e compagni però si ribellarono perché andava contro la storia del calcio argentino, che poi però avrebbe vinto un mondiale nel 1986 con l’utilizzo da parte di Bilardo del libero Tata Brown.

Fu nei Settanta che la figura iniziò a cambiare. A gennaio il Cagliari che avrebbe vinto presto uno storico scudetto si trovò improvvisamente senza libero perché il titolare Tomasini s’era infortunato compromettendo la stagione. L’allenatore Scopigno allora arretrò un mediano cerebrale come Cera, che interpretò il ruolo con la testa e i piedi da centrocampista. Nell’unica maniera che conosceva. Lo fece talmente bene che Valcareggi se lo portò in Messico per il Mondiale, dando gli una maglia da titolare. In rosa c’era anche Ugo Ferrante, che in ritiro si lamentò del fatto che in quella posizione giocasse un giocatore non di ruolo. Pierluigi Cera verrà eletto il migliore libero del torneo. I tempi stavano cambiando.
Nel 1974 esordì nella Juve Gaetano Scirea, che a diciotto anni era stato trasformato da un lungimirante allenatore delle giovanili dell’Atalanta da centrocampista di qualità a libero. Tecnica sopraffina, eleganza e visione di gioco, Gaetano sembrava nato per giocare a calcio. Anche se passò l’infanzia a Cinisello Balsamo, Gaetano nasce a Cernusco sul Naviglio, un comune che oggi fa 34 mila abitanti e che ha donato al calcio italiano degli anni Ottanta liberi come Roberto Tricella e Roberto Galbiati. Se non è un record, poco ci manca.

Moderno per i tempi anche il libero del Torino scudetto 1976. Preso dal Bologna, Vittorio Caporale partì come riserva di Nello Santin, uno che interpretava il ruolo in maniera didascalica, cioè andando in raddoppio quando lo stopper si perdeva l’uomo. Ma Santin si infortunò subito e così Radice diede fiducia al nuovo acquisto. Caporale si distinse subito per la lettura del gioco e la capacità di dettare il passaggio. È lui a chiamare il fuorigioco, arma inedita di quel Toro. Il suo soprannome era Caporalbauer perché assomigliava a un tedesco di talento. Scirea venne portato al Mondiale del 1978. Giacinto Facchetti da terzino era passato a fare il libero, un ruolo meno dispendioso, scelto dai giocatori di classe (anche da dieci come Luisito Suarez) per allungare la carriera. Giacinto però non ce la faceva più e da gentiluomo quale era passò in azzurro le consegne ad un altro gentiluomo come Gaetano. Bearzot portò oltre a Scirea un giovane Lionello Manfredonia della Lazio, anche se parte della stampa gli avrebbe preferito Giorgio Carrera, protagonista di un ottimo campionato con il Vicenza. Scirea vincerà il Mondiale del 1982 e il modo in cui partecipò all’azione del gol di Tardelli in finale è emblematico del suo calcio: recupera palla nella propria metà campo, tacco in aerea avversaria ed infine assist a Marco. Scirea non era il libero che aveva in testa Gipo nel secondo dopoguerra.

È sicuramente una sua evoluzione. Intanto nel 1978 ha esordito in serie A il diciasettenne Franco Baresi. L’anno dopo da titolare vinse lo scudetto col Milan. Baresi giocava staccato come un vero battitore. Eccelleva in leadership e sapeva essere duro nei contrasti quando serviva. Ma il calcio stava subendo un cambiamento epocale e lui ne fu coinvolto in maniera diretta.
Nel 1983 Ezio Glerean, poi innovativo mister, giocava da libero in C1 con il Trento. La sua squadra affrontò il Rimini di un giovane allenatore di Fusignano. Era un ragazzo sveglio Ezio, con una testa già da allenatore. S’accorse subito della rivoluzione in atto. La squadra che aveva di fronte giocava con una difesa di giocatori in linea senza libero.
Sacchi stava sconvolgendo il calcio e quando arrivò al Milan chiese a Baresi, ormai diventato capitano, di modificare il suo modo di giocare. Doveva posizionarsi in linea con l’altro centrale e i due terzini. Sarà sempre lui a chiamare il fuorigioco e a dirigere i compagni, ma senza staccarsi mai da loro. Il libero come lo si conosceva fino a qual momento pian piano scompare. Qualche sacca di resistenza rimase.

Uno degli ultimi esempi dell’utilizzo del libero ad alti livelli in Italia è quello di Giuseppe Bergomi nella stagione 1997-98. Prima di Gigi Simoni, Beppe era stato utilizzato sporadicamente da ultimo uomo con Castagner, Trapattoni e Bianchi ma in carriera aveva fatto principalmente il marcatore. Rivisse una seconda giovinezza. L’Inter arrivò dietro alla Juve in campionato e vinse la Coppa Uefa. Beppe si meritò la convocazione di Cesare Maldini (aveva avuto come allenatori sia Viani che Rocco…) per i Mondiali in Francia. Era la sua quarta Coppa del Mondo e partì come riserva, per poi giocare (bene) da libero titolare in seguito all’infortunio di Alessandro Nesta. Il più grande libero della storia del calcio è stato però un tedesco. Franz Beckenbauer ha giocato così soprattutto dal 1970 in poi (in Italia-Germania 4-3 infatti giocò Schnellinger, scuola Milan di Rocco) e in questa posizione si disimpegnava anche a fine carriera nei Cosmos di New York. Fino a quando il libero della Lazio Pino Wilson raggiunse in America l’amico di sempre Giorgio Chinaglia. E allora fu la tradizione italiana a imporsi e il sommo Beckenbauer venne dirottato a centrocampo. “Detta così, c’è da sorridere”, ammette oggi Wilson.

Articolo tratto dal Guerin Sportivo Gennaio 2020. Download qui la rivista.

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