Jonathan Barnett il re mida dei procuratori
Il procuratore piu´ricco del pianeta non e´l´elegante Mendes e neanche un manager delle stelle di basket americano ma Jonathan Barnett che in Italia e´poco conosciuto. Scopriamo insieme chi e´ e chi sono i suoi assistiti.
L´unica concessione al lusso e alla ricchezza del portafoglio è la Bentley con la targa personalizzata dedicata all’azienda, fondata nel 1994 insieme al socio di vecchissima data David Manasseh, oggi amministratore delegato della Stellar Group. Jonathan Barnett,69anni, britannico, ebreo, membro della sinagoga di St. John’s Wood a Londra, ha l’aria di un cumenda, ma dietro gli occhiali in stile vintage, c’è il procuratore più ricco del mondo dall’alto di 115 milioni di euro in commissioni sui trasferimenti e 1,17miliardi d’ingaggio totale dei contratti. La classifica è stata aggiornata dalla rivista statunitense Forbes: secondo Scott Boras, agente di baseball scalzato dopo sei anni al comando proprio da Barnett; terzo il portoghese Jorge Mendes, titolare della Gestifute e Cristiano Ronaldo super diamante della sua gioielleria: quinto Mino Raiola, il procuratore di Pogba e Ibrahimovic. Al 26°,l’italiano Alessandro Lucci, con 25 milioni di euro guadagnati in commissioni e 254 di ingaggi per il suo parco calciatori, tra i quali spiccano Leonardo Bonucci e Alessandro Florenzi. Non stupisca che tre dei primi cinque siano manager di calciatori. I sindacati dei vari sport prevedono infatti percentuali diverse per le commissioni massime sugli ingaggi degli atleti: 10% per il calcio, 5% per il baseball, 4% per basket e hockey, 3% per
il football americano, mentre i procuratori di tennisti e golfisti incassano una media del 20% solo sui ricavi commerciali che aiutano a generare.
Barnett visse giorni di grande notorietà nell’estate 2013,quando fu determinante nel trasferimento di Gareth Bale dal Tottenham al Real Madrid. Si ritrovò sotto la luce dei riflettori per settimane. La storia si sta ripetendo in questi giorni con le trattative avviate per portare il gallese in Cina. Una situazione non gradita, perché la dimensione preferita diBarnett è quella di non apparire, del profilo bassissimo. Con i giornalisti rapporti quasi inesistenti: pochi lohanno incrociato, pochissimi hanno scambiato più di qualche parola. Quello che conta sono le
firme sui contratti e il denaro da depositare in banca. Barnett, il cui pezzo pregiato attualmente è Saul Niguez dell’Atletico Madrid e in Italia è rappresentante dei portieri Wojciech Szczesny (Juve) e Thomas Strakosha (Lazio), è lontano anni luce dalla gioiosa rotondità di Mino Raiola o dall’eleganza talvolta esagerata di Mendes, il Julio Iglesias degli agenti. Il re dei procuratori ha l’aspetto di un bancario stanco, ma in realtà è un osso duro, con il pelo sullo stomaco e il merito di aver capito prima di molti altri colleghi dove andava a parare il suo mondo.
Iniziò a muoversi nel mondo degli affari come apprendista manageriale del gruppo Curzon, nel 1973, dove rimase fino al 1990: era un’azienda di casinò di cui era proprietaria la sua famiglia. In quei 17anni, Barnett si creò una rete di relazioni, condizione fondamentale per lanciarsi in nuove avventure. Contemporaneamente, tra il 1980 e il 1990 il mondo dello sport fece un balzo nel futuro: il gigantismo finanziario nacque in quel decennio, grazie al boom degli sponsor e del mercato dei diritti tv. Barnett partì dal cricket, con il giocatore BrianLara, campione di Trinidad e Tobago, soprannominato “Il Principe”, oggi 50 anni. Lo portò al Transvaal per volere di Nelson Mandela, intenzionato a lanciare quello sport nel Sudafrica del post apartheid.
Una volta approdato al calcio,lo sviluppo della società di Barnett è stato impressionante. Oggi si articola in quattro discipline sportive principali: calcio, atletica, rugby e cricket. Oltre a Barnett e Manasseh,quattro figure chiave:il direttore e intermediario David Lookwood; il direttore Joshua Barnett,figlio di Jonathan; il direttore europeo del calcio John Inglis; il direttore
finanziario Peter Lazard. Gli uffici sono sette: la sede madre di Londra, poi Liverpool, Madrid, Amsterdam, Monaco di Baviera, Reykjavik e Massachussets. Lo staff enorme: ventinove figure per il calcio,di cui tre donne; cinque per l’atletica; due per il rugby, una per il cricket; sei per il soccer; una per il football americano.Nel reparto commerciale, altre tre persone,
tra le qual iAndrei Kanchelskis, figlio dell’ex giocatore di Manchester United, Everton, Rangers e Fiorentina. Totale, quarantasette dipendenti.
Il sito specializzato Transfermarkt assegna all’agenzia di Barnett 232 calciatori in attività. Il più costoso è Saul Niguez dell’Atletico,valutato 90 milioni di euro. Secondo è Bale, 60. Terzo il centravanti uruguaiano Maxi Gomez, 40. A seguire, Pickford (Everton), 40; Szczesny, 35; Trippier (Atletico Madrid) 35; Sigurdsson(Everton)35; Mount (Chelsea)35;Chilwell(Leicester) 35; Loftus-Cheek (Chelsea) 30. In fondo alla classifica, valutazione 25 mila euro, c’è il diciannovenne centrale israeliano Ilay Elmkies, dell’Hoffenheim II. Non ci sono giocatori italiani. I campionati più battuti sono Premier, Championship,Liga,Bundesliga, Ligue 1 e, a macchia di leopardo,Turchia,Russia,Scozia, Usa, Brasile. In Portogallo, terrenodi caccia di Mendes, appena tre giocatori. Stessa musica in Olanda, dove vanno forte altre agenzie. I top manager si sono spartiti il mondo e,tra loro, evitano interferenze.
Dietrol’aspetto da cumenda, Barnett è un uomo di ghiaccio. I giovani calciatori vengono reclutati mettendo in campo una forza finanziaria che, soprattutto nelle famiglie meno agiate – non poche –, esercita un fascino irresistibile. Il suo staff batte il mondo alla ricerca dei baby da inserire nella galassia Stellar Group: li paghi uno e rendono cento. L’abilità è anche quella di studiare le situazioni che potrebbero aprire spiragli incui piazzare il colpaccio:una star che tentenna al momento del rinnovo del contratto è, ad esempio, una preda di primo livello.Formalmente però vanno rispettate le regole. Nella pagina del sito in cui viene presentata l’agenzia è scritto: «La politica inequivocabile del gruppo Stellar è che non faciliteremo, tollereremo o perdoneremo l’evasione fiscale da parte dei nostri clienti, agenti o fornitori,né delle giurisdizioni in cui operiamo, o altrove». Non si vogliono grane. La forza economica del gruppo permette, almeno
in teoria, di evitare scorciatoie con le tasse che, nel caso venissero scoperte, potrebbero rilevarsi un boomerang.
Barnett è un ebreo laico,ma praticante. La sua frequentazione della sinagoga di St.John’sWood non è episodica. È in ottimi rapporti con il presidente del Tottenham, Daniel Levy, che
prega nello stesso tempio. Sempre in nome della religione, sono buone le relazioni con il Chelsea di Abramovich e con il Manchester United della famiglia statunitense Glazer. Nelle occasioni
conviviali, Barnett è persona sostanzialmente comune. Non possiede la battuta fulminante di un genio dell’ironia tipicamemnte ebraica come Woody Allen. Si gode la buona la tavola, senza esagerare. Ma la cena è raramente uno strumento di evasione: è una delle tele preferitper chiudere un buon affare. Non ostenta orologi particolarmente costosi,l’eleganza dei vestiti è misurata. E se ogni tanto bisogna infrangere qualche regola con comportamenti eccessivamente disinvolti e si cade in tentazione, c’è sempre la sinagoga per il pentimento. Nel 2006 per dire,Barnett fu squalificato per dodici mesi dalla Football Association e multato per 100 mila sterline per aver organizzato un appuntamento segreto tra AshleyCole, in quel momento all’Arsenal, e i rappresentanti del Chelsea. Barnett non si scompose, pagò dazio e tempo dopo dichiarò: «Ho fatto quello che era giusto e conveniente per il mio giocatore. Ho rappresetato gli interessi di Cole. La storia ha dimostrato che è stata la mossa giusta».
Cresciuto in Baker Street, il quartiere londinese associato a Sherlock Holmes, Barnett ha raccontato che la sua stella polare è stata l’educazione ricevuta in famiglia: «I principi per la
vita eper gli affariliho ereditati da quel contesto». Ora, sulla soglia dei 70anni, ricco e affermato, racconta:«Non mi interessa la fama e non è il denaro in cima alla mia scala di valori. Al
primo posto c’è la famiglia che mi sono costruito, moglie e tre figli». Ha costruito anche un ingente patrimonio che ora fa dilui il numero uno degli agenti: una bella eredità per consorte, figli e nipoti.
Questo articolo e´ tratto da Sport Week di Sabato 23 novembre. Vai alla sezione dowonload per scaricare la rivista