C’era una volta il ritiro precampionato

Un tempo era più facile seguire la preparazione precampionato della propria squadra. La Juve per esempio, stava fissa in ritiro fino alla prima amichevole che giocava a Villar Perosa. Ora invece I turisti del ritiro devono tenere in mano il passaporto.

ritiri serie A 2019Strana gente, i tifosi di calcio, capaci di innamorarsi di una maglia e in quel caso (solo in quel caso?) di rimanerle fedele finché morte non li separi, dopodiché – Atletico Madrid docet – magari ci si fa seppellire proprio lì, nello stadio “di casa”.
Strana gente, i tifosi di calcio, capaci di storcere il naso per l’ottavo scudetto consecutivo «perché l’obiettivo era la Champions League» o di contestare duramente chi comanda in società, ma poi puntualissimi all’appuntamento con la partita successiva.
Strana gente, i tifosi del calcio, gli unici a non vedere l’ora che le vacanze… finiscano: perché dal 26 maggio al 24 agosto i giorni sembrano non passare mai, e allora ci si inebria (o ci si instupidisce?) a colpi di calciomercato, quello strano microcosmo dove è vero tutto e il suo contrario, almeno fino a quando non torna a suonare la prima, timida campanella della stagione, quella della partenza per il ritiro precampionato.

E allora quel giorno, il giorno della “chiamata alle armi”, chi può indossa i panni di Alberto Proietti, il protagonista di “Sapore di te” dei fratelli Vanzina, che le vacanze estive le organizzava in base alle scelte della “sua” Roma. Liedholm programmava amichevoli con Livorno e Pisa? Lui caricava moglie e figlia e se ne andava in Versilia per «starevicino a Chierico», che all’inizio degli anni Ottanta il rosso Odoacre giocava per la Lupa. Non è (solo) finzione cinematografica: è uno spaccato di vita italiana o, meglio, di “vita da tifoso”

Strana gente, i tifosi di calcio, che nel nome del loro grande amore nel corso degli anni hanno saputo adattarsi alle mutevoli frivolezze del football. C’era una volta il rito della domenica alle 15, che Rita Pavone ci incise pure un disco: abolito, si gioca dal venerdì al lunedì, all’ora di pranzo, di merenda o di cena. E loro – i tifosi – sono sempre lì, sugli spalti o sull’adorata poltrona in salotto che – fateci caso – assomiglia alle moderne panchine negli stadi, perché nel frattempo sono cambiate pure quelle. C’era una volta il rito del mesetto per sognare in grande, erano i giorni del calciomercato: i tifosi sgranavano gli occhi, in quei giorni, pregustando grandi colpi che poi, all’atto pratico, magari non andavano in porto, ma chissenefrega: era stato bello sognare.

baggio in ritiroOggi, invece, i tifosi vivono dalla fine del campionato all’inizio di quello successivo con le pupille… dilatate, tre mesi per sognare un’asticella (quella delle ambizioni del club) che deve alzarsi fino al cielo e poi magari rimane ancorata a terra. C’era una volta la venerazione dei calciatori bandiera, quelli – Boniperti, Losi, Bulgarelli, Mazzola, Chinaglia, Rivera, Riva, Antognoni… – che per niente al mondo avrebbero cambiato maglia. Oggi, invece, le cose vanno diversamente, hanno preso il sopravvento i procuratori e i contratti più che da onorare sono da rinnovare, così ragazzi come De Rossi – fulgido esempio di calciatore-tifoso – meritano un monumento, quando si scontrano con la fredda logica del calcio moderno. Insomma, in un mondo che corre forsennatamente verso non si sa cosa, il mondo del calcio è più forsennato ancora.
Dice: c’era una volta il rito del ritiro precampionato. Quello c’è ancora. Vero, almeno
formalmente. Parliamone…

“Mi ricordo montagne verdi” cantava Marcella Bella nella sua canzone datata 1972. Le montagne verdi in questione sono quelle che incoronano la nostra Penisola, sono le Alpi. Qualche anno fa, bastavano un inviato e un fotografo catapultati in Trentino Alto Adige per “coprire”, da un punto di vista giornalistico, la quasi totalità della Serie A. Quando i palloni erano solo di cuoio e l’arbitro sbagliava di testa sua, non con l’ausilio del VAR, erano davvero pochi I club (anzi: gli allenatori, perché a decidere erano spesso loro) che portavano la squadra in ritiro lontano dall’arco alpino. A memoria mi viene in mente soprattutto Bruno Pesaola, che portò ad Abbadia San Salvatore (Toscana, Monte Amiata) Napoli, Fiorentina e Bologna. Il Petiso era un uomo geniale e
fuori dagli schemi: le sue squadre svolgevano lì la preparazione in vista della stagione e tornavano in sede solo per l’inizio della Coppa Italia, quando si cominciava a fare sul serio.
Sulle Alpi o sugli Appennini, comunque, il “clima” che si respirava intorno alle squadre era lo stesso: c’era un’aria da sagra paesana, con i tifosi fin dentro le hall degli alberghi a caccia di autografi, un’atmosfera che coinvolgeva pure allenatori, calciatori e… giornalisti.

Estate 1987: la Sampdoria di Vujadin Boskov ha da poco perso lo spareggio-qualificazione alla Coppa Uefa (1-0 per il Milan) e prepara la nuova stagione al Ciocco, nel cuore della Garfagnana. Il Guerino è in ottimi rapporti con il club blucerchiato e il direttore manda il vostro cronista a vedere come nasce la nuova Samp. Il Ciocco – detto da uno che non ama particolarmente la montagna – è un cucuzzolo piazzato lì quasi per sbaglio: arrivi nei paraggi che ti sembra di essere in pianura, poi d’improvviso cominci a salire a chiocciola. “Il babbo mise un gran ciocco di quercia su la brace; i bicchieri avvinò; sparse il goccino avanzato;e mescè piano piano, perché non croccolasse, il vino” (Il Ciocco, 1903): fu Giovanni Pascoli, che si stabilì da quelle parti a fine Ottocento, a “battezzare” il luogo, ma questo credo che all’ineffabile Vujadin importasse poco. A lui importava che il Ciocco fosse fuori dalle rotte abituali dei turisti per calcio: ma quei pochi che si abbarbicavano fin lì, venivano accolti a braccia aperte.

sampdoria di Boskov in ritiroAll’arrivo dell’inviato del Guerino, i calciatori stanno ancora sudando sul campo con il loro allenatore. Li aspetto, indisturbato, al bar dell’hotel, roba che oggi se ti azzardi a fare una cosa del genere prima devi respingere gli assalti dei colleghi dell’ufficio stampa (che meno si stampa meglio è, a quanto pare) e poi resistere agli uomini della security che vogliono accompagnarti fuori. Nel 1987, niente di tutto questo: prendi un thè freddo e aspetti che i ragazzi arrivino alla spicciolata. Primo, Faustino Salsano, fresco come una rosa perché lui – non altissimo e comunque magrissimo –era di Cava dei Tirreni e a quelle temperature (Il Ciocco era uno dei luoghi più caldi
del mondo, di giorno…) gli sembrava di stare a casa. Secondo, l’altro Fausto, ovvero Pari, simpatico “patacca” romagnolo che poi in campionato avrebbe dovuto tirare la carretta per conto di tanti e quindi in precampionato dava l’anima per entrare in forma. Infine, le due star della compagnia, Roberto Mancini e Gianluca Vialli, che poi erano star per la stampa e i tifosi, ma nella realtà non avevano alcun atteggiamento divistico. «Sei venuto fin qua per noi?» lo sfottò della simpatica truppa che si stravacca sui divanetti accanto a me.
«Volevo capire se eravate diventati adulti» la risposta caustica alla domanda inutile. Arriva una signora che chiede a Vialli di regalarle lo scudetto e due ragazzini che vorrebbero palleggiare con Mancini – Lo farei ma non posso il Mister non vuole-.

Una volta allontanatisi i tre tifosi, si comincia a parlare della nuova stagione, delle avversarie, dei traguardi da raggiungere: io sono lì per lavorare, che diamine! E mentre loro mi raccontano le cose che servono per regalare ai lettori del Guerino un servizio all’altezza, ecco arrivare Boskov. Non lo conosco, ma non faccio neppure in tempo a presentarmi. Si accomoda fra Mancini e Vialli e comincia a parlare: «È un pezzo di legno, ma legno molto buono, pregiato. Ci sarà da lavorare sodo, però può nascere capolavoro». Caro, impagabile zio Vujadin: con poche parole, e sicuramente senza volerlo, mi disse in anteprima che Gianluca Pagliuca, prelevato dalla Primavera del Bologna, di lì a poco sarebbe diventato il portiere della sua Samp. Quel “pezzo di legno” era lui: a me, lì per lì, venne da ridere pensando che il titolare nel ruolo era Guido Bistazzoni, non certo un felino, ma pensai che fosse sbagliato dubitare di Boskov…

IL VOLO DEGLI INVINCIBILI
daniele massaroMilano, Arena Civica, un anno prima. È il febbraio del 1986 quando Silvio Berlusconi diventa presidente del Milan. È luglio, invece, quando si raduna il primo Milan berlusconiano. L’appuntamento è poco prima di pranzo, nel cuore di Milano, all’Arena appunto. Il Guerino c’è, ci mancherebbe. Tanti tifosi sui gradoni, ma poco prima dell’inizio della presentazione della squadra arriva un ospite inatteso e sgradito: un diluvio si abbatte sul capoluogo lombardo. Quando atterrano gli elicotteri che trasportano i calciaori, accompagnati dalle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, sembra davvero di essere in Vietnam o quantomeno sul set di “Apocalypse Now”: umidità insopportabile, gente in delirio come se fosse sotto l’effetto degli stupefacenti. Stefano Tacconi, guascone portiere juventino, il giorno dopo fece della facile ironia («Gli elicotteri serviranno al
Milan per scappare di fronte alle figuracce che rimedierà»), ma in realtà quel giorno, di fatto, cambiò il mondo del calcio. Non cambiarono, invece, le abitudini dei supporters rossoneri: terminata la cerimonia, io e Sergio Sricchia (un “guerinetto” dal cuore rossonero che chi non l’ha conosciuto non sa che cosa si è perso) salimmo in auto per seguire il Milan verso Vipiteno, sede del ritiro precampionato, mischiati a migliaia di tifosi che – per amore del Diavolo – presero d’assalto la compassata località altoatesina.
Sembrava d’essere a un raduno degli Alpini, tanta era l’elettricità che travolse quel luogo. Il ricordo indelebile? Nils Liedholm, compassato più della stessa Vipiteno, “costretto” dal direttore dell’hotel ad affacciarsi alla finestra della sua camera per impartire una sorta di “benedizione laica” ai tifosi, che senza di quella avrebbero continuato a intonare cori e canti che turbavano il riposo di chi era andato lassù in cerca di tranquillità…

IL SESSO DEGLI ANGELI
inter di trapattoni in ritiroHa fatto notizia, in giugno, la decisione della Federazione di cricket australiana di escludere mogli, fidanzate e figli di giocatori dall’albergo che ospitava gli atleti durante la Coppa del Mondo. Sembrava il remake di “Niente sesso siamo inglesi!” (in questo caso, australiani…), divertente piece teatrale che diventò pellicola cinematografica nel 1973.
Proprio in quegli anni il sonnolento mondo del pallone cominciò a fare i conti con quei pazzerelli dei calciatori della Nazionale olandese. In quel periodo, i calciatori in ritiro erano più sorvegliati dei bambini in collegio. Ma non gli olandesi, che in occasione dei Mondiali 1974, in Germania Ovest, lanciarono il ritiro “open”. Open a giornalisti, tifosi, ma soprattutto mogli e fidanzate. I puritani pallonari insorsero, perché Cruijff e compagni avevano ridicolizzato un dogma («In ritiro c’è posto solo per il pallone»); in realtà ne infransero tanti altri, di dogmi, se è vero che per sottrarre due titoli mondiali all’Arancia Meccanica di Michels dovettero scendere in campo arbitri compiacenti e giunte militari. Che peraltro non riuscirono a cacciare le donne dal… Tempio e non intaccarono il mito (“La dura legge del gol”, 883: lo “squadrone” di cui parla Pezzali è quell’Olanda…).

SALVEZZA O SCUDETTO?
E allora oggi, oggi che tutto è cambiato – agli occhi di noi nostalgici – appare più freddo, calcolato, oggi che un turista per calcio se vuole seguire la preparazione della propria squadra del cuore deve avere il passaporto perché il Telepass non basta più, oggi che per esempio il Verona si raduna per vivere un’altra stagione in Serie A, ci affidiamo ai ricordi di chi i ritiri precampionato li frequenta da quando ancora non aveva la patente e che 35 anni fa, proprio di questi tempi, faceva la valigia per raggiungere i compagni a Cavalese. Estate 1984, il Verona si ritrova in Val di Fiemme agli ordini di Osvaldo Bagnoli. Niente da dichiarare, Beppe Galderisi? «Io ero arrivato a Verona l’anno prima dalla Juventus. Ricordo l’impatto: primo giorno di ritiro, Bagnoli scrive sulla lavagna la sua formazione titolare. In attacco ci sono Jordan e Iorio, io no. Alla sera telefono a Boniperti e lo imploro di mandarmi in prestito all’Avellino, che pure mi voleva. Lui risponde di restare lì e di convincere Bagnoli delle mie qualità. Lo feci».Oggi Nanù, 56 anni, che fu capocannoniere del Verona Campione d’Italia 1985, fa l’allenatore, quindi ha vissuto e vive i ritiri precampionato da entrambi i lati della barricata: differenze? «Sono cresciuto nella Juventus e lì la prima partita era quella contro la Primavera a Villar Perosa. Oggi le squadre girano il mondo a caccia di ingaggi, ma così facendo devono sacrificare la cura dei particolari in fase di preparazione. Tant’è: così fan tutte…». Il secolo scorso, quando vi radunaste a Cavalese, che aria si respirava? «Il gruppo era affiatato e i tifosi invasero il paese per farci sentire la loro vicinanza». Avevano “annusato” l’impresa? «Ma figurati! Nessuno sano di mente avrebbe potuto pronosticare il Verona Campione d’Italia. Mi spiego: quando parlavamo del campionato che stava per iniziare, io e i miei compagni cercavamo le tre squadre da metterci alle spalle per evitare la retrocessione, altro che scudetto! Il gruppo era solido, Bagnoli un grande allenatore, ma a rinforzare la rosa erano arrivati solo Briegel e
quel bisonte danese che avevamo visto una volta in tivù con la Danimarca agli Europei, Elkjaer.
Eravamo in 17 comprendendo un ragazzo della Berretti, Terracciano, figurati se potevamo pensare di battere le Grandi del campionato nell’anno in cui era arrivato in Italia Maradona».

Se tu dovessi scegliere una “cartolina” di quel ritiro? «Non avrei dubbi, sceglierei quella di Domenico Volpati e Roberto Tricella, due dei “senatori”, che alle sera uscivano alla chetichella e andavano a prendere il caffè in un bar del centro…». Detta così, non sembra granché… «Allora aggiungiamoci che la barista si chiamava Daniela, che oggi di cognome fa Volpati, che Domenico è poi diventato dentista e ancora oggi vive a Cavalese con moglie e figli: va meglio così?». Le vie del pallone sono infinite: Volpati, in ritiro, ha trovato moglie e scudetto.
Chissà come andò, quell’anno, a tutti i turisti per calcio gialloblù…

 

 

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